IG2023, la vera rivoluzione passa per la tradizione?

Cala il sipario sul palcoscenico di Identità Golose 2023 con un commosso Paolo Marchi che apre l’ultima giornata ricordando l’amico e collega Roberto Perrone scomparso ieri all’età di 65 anni.

Entrando nel vivo della manifestazione Marchi sottolinea come la vera rivoluzione sarà riportare gli operatori del settore a lavorare nei ristoranti, non fossilizzandosi al loro interno ma aprendosi alla vita, ad un modo nuovo di concepire il lavoro, mossi da passione e non da dovere. Il Covid se qualcosa di buono ci ha lasciato è la volontà ferrea di riprendersi il proprio tempo.

Tocca a Claudio Ceroni riportare l’attenzione sul palinsesto della manifestazione con la presentazione di Almir  Ambeskovic Global Ceo di The Fork, partner di Identità Golose e ideatore del premio “TheFork Restaurant Awards by Identità”, che celebra i dieci nuovi Ristoranti d’Italia più votati dalla giuria popolare.

Primo chef della giornata, Moreno Cedroni accompagnato dal suo sous chef Luca Badir della Madonnina del Pescatore.  

Moreno declina la sua idea di rivoluzione che non parte più da un “azzardo” me è frutto di una acquisita consapevolezza dei propri mezzi e dalla certezza che innovare senza partire dal proprio background è innaturale. Ed è così che sul palco della Sala Auditorium vengono mostrati in una colorata carrellata di profumi e colori, alcuni piatti innovativi derivati da un intenso periodo di studio e sperimentazione che sono una glorificazione del presente ed un omaggio alle esperienze, dettagli di vite vissute che brillano come pietre preziose e invitano all’ assaggio.

Paco Morales, che segue a Moreno Cedroni,  celebra quest’anno nel suo menù degustazione, l’età dell’oro. Il suo è, da anni, quasi un lavoro di archeologia molto attualizzata sulla base delle tecniche di oggi ed è davvero un concetto di storia, bellezza, arte, che non ha eguali al mondo, dove il passato serve come radice per capire cosa possiamo fare. Il suo motto? “Come si fa a dire che è una cosa innovativa se non si sa quali sono le sue radici?”.

A chiudere la prima parte della giornata, arrivano in Sala Auditorium Fabio Fazio e Corrado Assenza, nella “rinascita” dell’Azienda Lavoratti 1938, che il Covid aveva messo in ginocchio fino a portarla alla chiusura,  impedita dalla ferrea volontà di Fazio che, legato affettivamente e territorialmente ai ricordi della storica cioccolateria ligure, ha scelto di rilevarla insieme ad altri soci (Davide Petrini, Alessia Parodi, Gioia Selis, ndr) e coinvolto Assenza nella ricerca di materie prime di assoluta qualità.

Una volta arrotolatesi le maniche, il nuovo gruppo dirigenziale ha rinnovato tutto quello che si poteva rinnovare incluso il packaging ( che richiama ora l’aspetti di una collana di libri) per cui ogni prodotto, ogni proposta, diventa un capitolo di questo racconto di gusto.

Ad Assenza è stato affidato il compito di sostenere ed avviare il progetto con le sue dritte che si riassumono in una cosa sola: cercare la qualità a tutti i costi, ad esempio trovando un’azienda familiare dell’Ecuador che fornisca tutto il cioccolato monorigine necessario per tutti i prodotti ottenuti o ancora, comprendendo che Bronte non è grande come il Canada e quindi, quando si dice pistacchio di Bronte si deve essere sicuri rivolgendosi a produttori che hanno un volto, un cognome, ed ecco che il pistacchio si identifica con il signor Caudullo da lui coltivato in un piccolo appezzamento. Qualità sono i limoni utilizzati che arrivano dalle Cinque Terre, sono le albicocche Leggine che vengono dalla Liguria, la nocciola Giffoni e così via dicendo.

Corrado Assenza stimolato da Paolo Marchi racconta la sua idea di qualità come ricerca di un metodo scientifico da contrapporre all’empirizzazione del suo maestro che non dava lui le “ricette” dei suoi dolci.

Metodo che ha portato alla conclusione che non può esistere vera qualità senza creare un legame di “intimità” con la materia prima scelta e con gli uomini che la forniscono, diventando parte fondamentale dell’unicum finale.

Tocca a Bartolini chiudere la mattinata:

“Bello essere nuovamente qua, grazie per l’introduzione, lo chef più stellato d’Italia! È una bella definizione, ma se lo sono e perché condivido i progetti con tante persone, molte delle quali  giovanissime. La rivoluzione? Secondo me è anche ammettere che la realtà delle cose va vissuta per quello che è! Occorre cercare, per trovare, un potenziale nei giovani che si approcciano a questo mestiere e che sono tanti!  Non è bello raccontare sui giornali che non ci sono in cucina nuove leve,  che non c’è la voglia di lavorare! Non è giusto neanche farsi prendere dagli effetti di una comunicazione pigra, che vede una realtà parzializzata.

Siamo troppo attaccati allo Story telling delle cose, come se non facendolo le cose ci appartenessero meno. Avviene anche nella comunicazione che spesso non bada alla veridicità di ciò che si racconta ma al bisogno di arrivare per primi a darla”.

Arriva per l’Auditorium il momento di accogliere l’ultimo ospite di giornata, uno fra i più attesi del panorama internazionale: Albert Adrià.

 È un Adrià molto lontano dall’immagine di “rivoluzionario” che gli venne affidata in passato, anche lui imposta il suo intervento su un richiamo al passato, alla tradizione: “Tutto ciò che è davvero rivoluzionario prima o dopo diventa un classico, e questo è il momento di prendere in mano la concretezza”.

Adrià bacchetta poi, simbolicamente, i colleghi che si dichiarano cultori di una cucina semplice, affermando che “Non esiste la cucina semplice o quella complicata. Esiste solo la cucina buona. L’alta gastronomia non può essere pop ma, più del food cost in sé, a incidere di più sui costi è la trasformazione”.

Identità 2023 si svuota piano piano della sua linfa vitale, lasciando negli occhi di molti di noi la fiamma di un dubbio cocente… Sarà forse che per essere rivoluzionari occorrerà fare un tuffo nel passato?

Foto (credits Brambilla-Serrani)

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